PIERO CONSAGRA Lettera "L" litografia/ser.firmata numerata timbrata Bolaffi Arte

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        PIERO CONSAGRA  Lettera “L”

                                                         n° 2309  / 5000

Tema: " L'Alfabeto di BolaffiArte " Autore: PIERO CONSAGRA
  • Fotolitografia/Serigrafia, 4 colori / Photolithography, 4 colors

  • Misure / Size: 30x23,5 cm  n° 2309 / 5000

  • Anno di Edizione / Year of Edition: 1972

  • Firmato in basso a destra.  Numerato sul retro / Signed in the bottom right part.  Numbered on the back

  • Garanzia di autenticità dell'opera e della firma a mezzo punzone a secco Sigillo Notarile /  BolaffiArte  Guarantee of authenticity by a dry stamp of BolaffiIArte in the bottom left 

    Pietro Consagra

CONSAGRA  Pietro

Nacque a Mazara del Vallo, in provincia di Trapani, il 4 ottobre 1920 da Luigi e da Maria Lentini. Il padre, di origini palermitane, proveniva da una famiglia di venditori ambulanti e viveva alla giornata; la madre, figlia di un sensale del feudo dei conti di Burgio, presto orfana, sposò Luigi e si trasferì con lui poco fuori Mazara, sulla strada verso  Castelvetrano. Nel 1923 nacque la secondogenita Carmela.

DA MAZARA DEL VALLO A PALERMO, NELLA TERRA DOVE «NASCE LA MITEZZA»

Consagra trascorse l’infanzia e la prima giovinezza nel paese natio, vivendo di stenti. Nel 1931 si iscrisse alla scuola professionale marittima, prima al corso di macchinista, poi di capitano. Ben presto, la spiccata inclinazione per il disegno lo condusse a lasciare gli studi; si iscrisse a una scuola serale di disegno, iniziò a frequentare alcune botteghe di falegnameria e incominciò a lavorare la creta. Nel 1938, grazie alla vendita di qualche lavoro e a piccoli sussidi rintracciati dal fotografo Francesco Catania, stimato a Mazara come scopritore di talenti, si trasferì a Palermo, dove fu ammesso al Liceo artistico. Al termine del primo anno si ammalò di tubercolosi e fu ricoverato in un dispensario; ripresi gli studi, si diplomò nel 1941. Fu in quel tempo che strinse amicizia con Antonio Sanfilippo e Ugo Attardi, con i quali condivise a lungo entusiasmi e aspirazioni. Sempre nel 1941, grazie a una borsa di studio, poté iscriversi all’Accademia di belle arti di Palermo, dove frequentò la scuola di scultura di Archimede Campini e dove il giovane Guido Ballo impartiva lezioni di storia dell’arte. Assiduo frequentatore di musei e chiese, fu profondamente suggestionato da Giacomo Serpotta, al quale, in anni successivi, dedicò alcuni disegni e uno scritto (Omaggio a Serpotta, Roma 1981).

In una Palermo distrutta dai bombardamenti, nel 1943 fu raggiunto dalla sorella e dalla madre, rimasta vedova. Lavorò come caricaturista presso il club della Croce rossa americana e fu a lungo ospitato in casa Attardi, avvicinandosi al comunismo; si iscrisse al Partito comunista italiano (PCI) «vivendo una struggente emozione nel capire che la grande miseria della gente era una cosa che si poteva combattere»; aveva anche compreso che «tutto si decideva sul continente» (Vita mia, 1980, pp. 33 s.). Decise di lasciare la Sicilia e nella primavera del 1944, con  una lettera di presentazione di un ufficiale americano, partì per Roma.

DA ROMA A PARIGI, LUNGO LA STRADA DELLA MODERNITÀ

In viaggio verso la capitale, si fermò alcuni mesi a Napoli; subito si recò alla Federazione del Partito comunista dove fu accolto da Paolo Ricci, che gli propose di pubblicare un disegno raffigurante «dei partigiani legati a dei pali e uccisi» sul primo numero del quotidiano La Voce di Napoli (Vita mia, cit., p. 38). Giunse a Roma nell’agosto del 1944, convinto di essere «il primo ad arrivare pensando all’arte e alla vita» (p. 41). Così come a Palermo, iniziò a eseguire e vendere ritratti di soldati presso il club della Croce rossa americana. Presto incontrò il catanese Concetto Maugeri; con quest’ultimo conobbe Renato Guttuso e fu l’inizio di una nuova vita: ebbe modo di frequentare gli ambienti più colti della capitale e si avvicinò alla Federazione comunista. Strinse allora amicizia con Giulio Turcato, che gli fu a lungo vicino. Vide spesso Mario Mafai e Leoncillo Leonardi, discutendo sullo stato dell’arte e immaginando da dove ripartire: «da Courbet o da Picasso», «Turcato diceva che Cézanne era il maestro dell’arte moderna» (p. 43). Nel settembre 1944 si inscrisse all’Accademia di belle arti di Roma per completare gli studi; frequentò la scuola di scultura di Michele Guerresi, ma si ritirò poco prima del diploma, considerando l’istituzione troppo rivolta al passato.

Dopo aver vissuto per qualche tempo nello studio di Marino Mazzacurati, nel 1945 si trasferì in quello di Guttuso, «il passaggio più significativo per chi voleva sentirsi arrivato a Roma» (p. 46). Da Guttuso conobbe Piero Dorazio, Giacomo Guerrini (Mino) e Achille Perilli. Il 6 dicembre 1945, presso la galleria Il Cortile di Roma, espose per la prima volta un disegno accanto, tra gli altri, a Guttuso, Mafai, Mazzacurati e Fausto Pirandello.

Nell’estate del 1946 fu presente alla riunione per la formazione del Fronte nuovo delle arti, dal quale fu escluso perché troppo giovane; vi fu invitato successivamente da Giuseppe Marchiori, Giuseppe Santomaso ed Emilio Vedova, ma declinò (Appella, 1989, p. 192). Intanto, spesso in compagnia dei giovani artisti da poco incontrati, non mancò di visitare le più significative mostre tenute a Roma. In autunno iniziò a insegnare presso il Liceo artistico come assistente alla cattedra di ornato disegnato del siciliano Valente (Valentino Virgilio Assenza). Erano allora giunti a Roma Carla Accardi e l’amico Sanfilippo, da lui esortati a lasciare Firenze. Con questi, oltre che con Turcato e altri, nel dicembre partì per Parigi in occasione di un viaggio organizzato dalla Gioventù comunista. A Parigi furono accolti da Alberto Magnelli e si recarono da Gildo Caputo, intorno a cui gravitava la Nuova Scuola di Parigi. Nelle settimane parigine Consagra incontrò, tra tutti, Anton Pevsner, Henri Laurens, Fernand Léger e Alberto Giacometti; si recò, lui solo, negli atelier di Constantin Brâncuşi, che gli mostrò come utilizzare l’ultimo modello di pulitrice del bronzo; visitò lo studio di Julio González, custodito dalla figlia Roberta, moglie di Hans Hartung; lo scultore Henri-Georges Adam gli fece vedere i gessi di Picasso, allora assente da Parigi. Tornò a Roma sentendosi parte di una «generazione aperta all’Europa». I «problemi di Guttuso» erano ormai lontani; voleva affermare la «libertà di pensare dentro il partito» (Vita mia, cit., p. 52).  Capì che avrebbe percorso la strada dell’astrattismo.

DA FORMA 1 AI PRIMI ANNI CINQUANTA

Il 1947 fu un anno significativo: presso lo studio di Guttuso, insieme a Dorazio, Perilli, Turcato, Accardi, Guerrini, Attardi e Sanfilippo, cui poi si aggiunse Maugeri, Consagra fondò il gruppo Forma 1. Dichiarandosi «formalisti e marxisti», i giovani di Forma 1 volevano affermare il valore estetico della forma pura quale unico fine dell’opera d’arte. Il manifesto, in aperta polemica con la politica culturale del PCI, fu pubblicato nell’aprile del 1947 nel primo numero della omonima rivista. Nella stessa rivista Consagra pubblicò Teorema della scultura, nel quale sosteneva che l’astrazione auspicata dal gruppo aveva «una base concreta», ovvero «il rapporto tra noi e l’oggetto e tra noi e la società» (Consagra che scrive, 1989, pp. 9-11). Fu l’iniziò di un’inevitabile rottura con Guttuso. Tra l’ottobre e il dicembre dello stesso anno si tenne la prima mostra del gruppo all’Art Club, sodalizio artistico romano aperto alle novità dell’arte astratto-concreta, con la presentazione in catalogo di Emilio Villa. Su L’Unità Antonello Trombadori stroncò prontamente l’iniziativa; come reazione, in occasione di una personale dedicata a Corrado Cagli, a cura di Trombadori e Massimo Bontempelli, il gruppo diffuse il provocatorio manifesto Da Cagli a Cagli. Afro, Mirko, Guttuso e altri si mossero subito in difesa del maestro di Ancona; si giunse alla rissa (Forma 1,1998, pp. 59-63 e passim).

Nel dicembre del 1947, presso la galleria Mola di Roma, si tenne la prima personale di Consagra. Dopo un incontro con Ettore Sottsass jr, nacque l’idea di organizzare una grande esposizione d’arte astratta; partì con Turcato per Milano e Venezia in cerca di adesioni; incontrò, tra gli altri, Bruno Munari, Gillo Dorfles e Lucio Fontana, che sempre apprezzò il suo lavoro. La mostra si tenne in primavera alla galleria di Roma.

Intanto, mentre presenziava alle principali esposizioni del gruppo Forma 1, le opere di Consagra continuavano a destare rumore: in occasione della XXIV Biennale di Venezia del 1948 un suo Plastico in ferro non fu accettato (Roma, coll. priv.). Manzù, in giuria con Guttuso e Giuseppe Marchiori, dichiarò di dimettersi se fosse stato accolto. In risposta a quanto deciso, contestualmente alla Biennale, Marchiori organizzò presso la galleria Sandri di Venezia una personale di Consagra. Furono presentate opere in prevalenza verticali, realizzate con lamiere saldate, e trentasei disegni. Peggy Guggenheim, visitata la mostra, propose di esporre il Plastico rifiutato all’interno del padiglione greco, dove si presentava la sua collezione; ma Consagra rifiutò. Nell’estate, accanto a Perilli, Dorazio e Turcato, fu invitato a Parigi al Palais des beaux arts de la Ville, per il Salon des Réalités Nouvelles.

Il 1948 segnò una svolta nella produzione di Consagra; dalle prime opere filiformi, dalle linee semplici e pure, inizialmente memori delle forme di Brâncuşi (Forma 1, 1947; coll. priv.) e ben presto di tendenza costruttivista (Manifesto per l’avvenire, 1947; coll. priv.), giunse a lavori più vicini all’essenzialità dei ferri di Gonzalez e a sculture che volle definire totem e di cui realizzò alcuni esemplari fino al 1950. Approdò pure a una plastica più smaterializzata, in composizioni di bronzo con uno spessore esiguo e già visibili da un solo punto di vista, come Omaggio a Christian Zervos del 1948 (Roma, Galleria nazionale d’arte moderna).

Nel 1949 l’attività espositiva si intensificò: a Venezia partecipò alla Mostra di scultura contemporanea presentata da Peggy Guggenheim, curata da Marchiori. In quell’occasione Guggenheim acquistò un Plastico in ferro, poi donato al Museum of art di New Orleans. Contestualmente pubblicò È trascurabile esprimere se stessi; nell’infuocato dibattito tra astrattisti e realisti volle dichiarare la necessità di lavorare in direzione di una cultura ispirata al socialismo, attraverso «simboli formali di purezza assoluta (la forma per la forma)» (Consagra che scrive, cit., pp. 12 s.).

Nel 1950 varcò le porte della Biennale di Venezia; da quel momento l’attività espositiva in Italia e all’estero si intensificò sempre più. Intanto, il suo studio, allora nei pressi di piazza del Popolo, era divenuto meta di critici e artisti d’Oltralpe, tra i quali Christian Zervos e Henry Moore.

Nei primi anni Cinquanta anche la vita privata ebbe una svolta: il 18 settembre 1952 sposò l’americana Sophie Chandler; con lei si trasferì in via Archimede, dove organizzò un nuovo studio. Dalla loro unione nacquero Maria nell’aprile 1953, Pierluigi nel settembre 1954, Francesca nell’agosto 1958 e George nel febbraio 1961.

GLI ANNI DEI COLLOQUI

Nel 1952 presero forma i Colloqui, la prima tra le serie di temi che hanno scandito la produzione di Consagra, così intitolati «sia per il rapporto diretto e frontale con l’osservatore sia perché lo svolgersi delle forme in relazione tra loro alludeva a una interdipendenza espressiva» (Vita mia, cit., p. 141). I Colloqui, ai quali si dedicò fino al 1963, erano realizzati con lastre metalliche, o in legno, che si addensavano formando insiemi che tendevano al quadrato (più raramente al rettangolo); la loro visione doveva essere frontale, sincronica e senza ambiguità. I titoli, di volta in volta, ne avrebbero connotato il carattere (per esempio, Impossibile,  Felice, Abulico, ma anche Con la luna, Segreto). Con i Colloqui pensava di liberare la scultura dalla tridimensionalità «che crea sempre un centro autoritario»; nella frontalità intravedeva infatti «la possibilità di un impatto immediato, di un colloquio diretto in una giustizia orizzontale» (G. Di Milia, in Forma 1, 1998, p. 108).

Nel febbraio 1952 la poetica di Consagra si esplicitò nel testo, pubblicato a Roma, La necessità della scultura, una confutazione di quanto espresso da Arturo Martini nel suo Scultura lingua morta (Venezia 1945), in cui tracciò pure una genealogia della scultura astratta, da Boccioni a Vantongerloo, Brâncuşi, Gabo, Pevsner, Picasso e Calder. Il libro, ritenuto da Giulio Carlo Argan di «una chiarezza esemplare» (F. Pola, in Pietro Consagra. Necessità del colore, 2007, p. 250), apprezzato, tra gli altri, da Marchiori, Umbro Apollonio e Lionello Venturi, fu stroncato su L’Unità (26 marzo 1952; ibid.) da Corrado Maltese. Come risposta Consagra pubblicò su Il Calendario del popolo (VIII, n. 95) un articolo In difesa dell’astrattismo, all’interno di una pagina su La polemica sull’arte contemporanea, a cura di Mario De Micheli, posta a fronte dell’opposto In difesa del realismo di Ernesto Treccani (F. Pola, in Pietro Consagra. Necessità del colore, 2007, p. 250).

Mentre si affermava come artista e teorico, nella primavera del 1952 le sue opere oltrepassarono i confini europei, approdando a Chicago in occasione della mostra itinerante Contemporary drawings from 12 countries 1945-1952 (con tappe a Hartford, San Francisco, Los Angeles e Louisville). Anche la Biennale di Venezia di quell’anno lo accolse con favore tra gli artisti ormai noti; e proprio attraverso l’ente veneziano fu invitato all’esposizione Nutida italiensk konst, tenutasi nel 1953 a Stoccolma e poi a Helsinki. Nel febbraio del 1953 partecipò al concorso/mostra per il monumento The unknow political prisoner, organizzato dalla Tate Gallery di Londra. Ma l’evento più significativo si rivelò la personale che gli dedicò, nel marzo, la galleria del Naviglio di Milano; nel testo di presentazione dell’amico Sebastián Matta si sottolineò il carattere umano del suo lavoro.

Nel 1954 fu presente alla XXVII Biennale; di lì fu invitato alla III Biennale di San Paolo del Brasile del giugno 1955, dove vinse anche il premio Metalúrgica, indetto da Francisco Matarazzo Sobrinho, industriale e noto collezionista, con il quale strinse rapporti duraturi e proficui. Nel catalogo comparvero un suo scritto su l’egemonia dell’astrattismo e un testo di Apollonio, che l’anno successivo gli dedicò pure una monografia.

Un anno cruciale fu il 1956, momento in cui la XXVIII Biennale di Venezia gli riservò un’intera sala (XII), nella quale presentò due opere della fine degli anni Quaranta (Manifesto per l’avvenire, 1947, coll. priv.; Omaggio a Boccioni, 1948, coll. priv. Modern art fondation) e otto Colloqui del 1956, di cui uno di legno bruciato (Colloquio pubblico, Washington, Hirshhorn Museum and Sculpture Garden). La presentazione in catalogo fu di Apollonio. In quell’occasione Consagra vinse anche il premio-acquisto Einaudi. Ma soprattutto, la maggior parte delle opere esposte furono vendute a collezioni pubbliche e private americane, destando l’interesse di critici e collezionisti che da allora appoggiarono il suo lavoro. Tra questi: Samuel A. Marx (che acquistò per l’Art Institute di Chicago Grande Colloquio, un bronzo di quasi due metri), Lilian H. Florsheim e Harnold H. Maremont, il più influente tra tutti (L. Lorenzoni, in Pietro Consagra. Necessità del colore, 2007, pp. 295-307).

Nel 1957, quando i rapporti con il Partito comunista erano ormai compromessi anche a seguito dei fatti d’Ungheria, restituì la tessera.

Nel maggio 1958 la galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis presentò alcuni disegni in bitume su faesite, esempi significativi per comprendere il sui lavoro grafico, che fu sempre necessario e centrale (Di Milia, 1995). Ancora nel 1958, dall’estero, giunsero importanti riconoscimenti: grazie a Robert Giron ottenne una personale al Palais des beaux-arts di Bruxelles, riscuotendo l’interesse, tra gli atri, del collezionista Philippe Dotremont; Phillip A. Bruno, direttore della World House Galleries di New York, gli organizzò la prima personale d’Oltreoceano; prese parte alla mostra per il bicentenario del Pittsburgh International, tenuta tra il dicembre 1958 e il febbraio 1959, e gli fu conferita l’Honorable mention del Carnegie Institute di Pittsburgh (in commissione vi erano James Johnson Sweeney, Venturi, Marcel Duchamp, Mary Callery, Vincent Price e Raoul Ubac), riscontrando l’interesse di Sweeney, allora direttore del Solomon R. Guggenheim Museum di New York. Tra i due nacque un rapporto di reciproca stima.

Nel 1959 giunsero ulteriori premi: il Morgan’s Paint e il Prix de la critique belgique. Quell’anno, che lo vide presente per la prima volta a Documenta a Kassel, si aprì con una personale a Parigi alla Galerie de France di Caputo (tra l’altro apprezzata da Annette Michelson) e si chiuse con la partecipazione alla mostra itinerante European art today, voluta da Sam Hunter e inaugurata al The Minneapolis Institute of art (con tappe a Los Angeles, San Francisco, Ottawa, New York e Baltimora). Nel dicembre di quell’anno la città di Anversa acquistò Colloquio pomeridiano (1958).

Accanto alle consuete mostre collettive, nel 1960 fu presente con una sala personale alla XXX Biennale di Venezia e vinse il Premio per la scultura. Argan, nel testo di presentazione, precisò che in un momento in cui «si parla tanto di 'informel', la sua scultura è decisamente, polemicamente 'formelle'»; sottolineò, inoltre, che la poetica di Consagra «è una poetica umanistica; e umanistico è il suo artigianato perché riafferma che l’arte non è un messaggio misterioso […], ma qualcosa che l’uomo fa, per se stesso e per gli altri» (pp. 108, 110). Dai successi della Biennale giunsero nuove opportunità. Tra tutte: George W. Staempfli gli offrì un contratto in esclusiva per gli Stati Uniti. Nel 1961, in un susseguirsi di mostre, dal Giappone all’America, partì per gli Stati Uniti. In quello stesso anno Consagra incontrò a Parigi Carla Lonzi, critica militante, che dal 1964 divenne la sua compagna e per la quale divorziò. Tra i due vi fu un reciproco scambio intellettuale, che durò anche negli anni dell’impegno femminista della Lonzi, che morì, prematuramente, nel 1982.

Nel 1962 uscì per le Edition du Griffon di Neuchâtel una monografia su Consagra, con un testo di Argan tradotto in quattro lingue. Nello stesso anno, negli Stati Uniti, il suo lavoro fu presentato alla Staempfli Gallery e al The Salomon R. Guggenheim di New York. In Italia espose alla Ca’ Pesaro nella rassegna I grandi premi della Biennale; ma soprattutto partecipò alla mostra internazionale Sculture nella città, curata da Giovanni Carandente a Spoleto. Per quest’ultima occasione, lavorando negli stabilimenti Italsider di Savona, progettò una sequenza di cinque sculture in ferro, riunite su una sola trave, intitolate Colloquio con il demonio, che donò alla città umbra (oggi Galleria civica d’arte moderna), e realizzò Colloquio con il vento, che poteva girare su se stesso in casi di forte brezza. L’opera fu acquistata da Sweeney per il Museum of fine arts di Houston. In quell’occasione iniziò la sua amicizia con David Smith, che, come quella con Alexander Calder, si intensificò nei soggiorni americani.

Nel settembre del 1963, in occasione del XII Convegno internazionale del Verucchio, con altri undici amici (tra cui Dorazio, Accardi, Turcato, Gastone Novelli e Toti Scialoja) si scagliò contro Argan, allora presidente del Convegno, e più in generale contro il sistema dell’arte italiano che, «distribuendo ‘l’asso dell’informale’ o il ‘fante della materia’», ricavava «profitti e vantaggi personali» (Pietro Consagra. Necessità del colore, 2007, pp. 378 s.).

Il 1963 fu un anno di grandi riflessioni: realizzò quattordici sculture per il Giardino di Pinocchio a Collodi e lavorò a una fontana che volle donare alla sua Mazara del Vallo. Fu negli schizzi a pastello per quest’opera che comparve il colore. Nella fontana per Mazara Consagra aveva «immaginato […] quattro personaggi usciti dalle acque […]. Quattro comportamenti diversi come reazione proiettata dalla nostra apprensione al seguito dell’avventura degli astronauti» (Consagra che scrive, cit., p. 53).

SCULTURA COLORATA, SCULTURA BIFRONTALE E LA CITTA FRONTALE

Nel 1964, quando la Pop Art fece il suo ingresso in Europa alla Biennale di Venezia, Consagra approdò al colore; si cimentò nella pittura su faesite a smalto nitro e aniline. Come rivelato dalla critica più accorta, il colore non fu una «conseguenza» della Pop Art, ma una «reazione», un «antidoto», un modo per compiere un’ulteriore riflessione sul suo lavoro (L.M. Barbero, in Pietro Consagra. Necessità del colore, 2007, p. 17).

Le prime sculture colorate furono i Piani sospesi, presentate alla Quadriennale di Roma del 1965 e realizzate con assi di legno traforate e dipinte. Si trattava di opere bifrontali dallo spessore minimo, pensate per essere mobili all’aria, il cui pattern era costituito da linee curve. Contemporaneamente iniziò i Ferri trasparenti (il cui colore completava il titolo, per esempio: rosso, blu, bianco), che, come già a Spoleto, potevano dialogare con il vento. Questa nuova serie fu presentata, nel dicembre 1966, dalla galleria Marlborough di Roma; Maurizio Calvesi mise in risalto il rinnovato rapporto con la luce e lo spazio; Giuliano Briganti parlò di «alberi di un umanesimo da utopia» (Il mondo vestito di ferro, in L’Espresso, 22 gen. 1967). Contemporaneamente, nacquero le serie dei Piani appesi e dei Giardini. I nuovi lavori, che paragonò a «foglie leggere liberate dal malessere» (Vita mia, cit., p. 143), furono presentati in mostre personali, tenute, tra la primavera e l’autunno del 1967, a Rotterdam al Museum Boymans-van Beuningen, a Milano alla galleria L’Ariete e a New York alla Marlborough-Gerson Gallery e al Solomon Guggenheim Museum.

Dall’agosto 1967 al maggio 1968 Consagra si trasferì negli Stati Uniti, su segnalazione di Sweeney, come visiting professor alla School of art di Minneapolis. In America partecipò a numerose collettive e realizzò progetti complessi come le Sottilissime in acciaio inox, bifrontali e dello spessore di solo due decimi di millimetro; proseguì il tema della bifrontalità, che non abbandonò più e che si manifestò con Solida e trasparente del 1968: opera alta tre metri e realizzata per la General Mills a Wayzata nel Minnesota. Il contatto con l’America e con le sue forme urbane lo condusse a riflettere sulla città come tema plastico. Dallo spessore minimo delle Sottilissime approdò allo spessore massimo, possibile in architettura. Nacquero, sempre nel 1968, gli Edifici frontali, modelli in acciaio inox, dalle facciate identiche e trasparenti e dal profilo curvilineo, sviluppati all’interno di una più ampia teorizzazione, estetica e antropologica insieme, su un’ipotetica città creata da artisti e prospettata nel libro La città frontale, scritto nel 1968, ma pubblicato l’anno successivo per De Donato di Bari.

Nel 1969, senza lasciare Roma, Consagra iniziò a lavorare anche a Milano. Presentò le Sottilissime e gli Edifici frontali alla galleria L’Ariete di Milano e alla Marlborought di Roma, dove espose modelli in scala di 80 edifici generici, 40 edifici embrionali in acciaio e bronzo e Tris (unità di misura minima della Città frontale) trasparenti e tamburati di  edifici.

ANNI SETTANTA E OTTANTA

Nel 1970 fu invitato da Ludovico Corrao, sindaco di Gibellina, a ideare una serie di opere per la città rasa al suolo dal terremoto del 1967. Nel 1972 progettò il Teatro frontale, nel quale aveva previsto un palcoscenico bifrontale e due platee simmetriche (ancora non terminato); nello stesso tempo progettò pure il Meeting (1972-1984), che gli consentì di mettere in pratica alcune delle ipotesi de La Città frontale, riprendendo la forma di un edificio di un tris trasparente.

Il 1972 fu un anno particolarmente importante; in occasione della XXXVI Biennale di Venezia Consagra presentò Trama, un ambiente praticabile, da attraversare per poter entrare nel padiglione italiano, in cui espose sette sculture lignee, bifrontali e colorate, posizionate su una pedana unica in modo che l’osservatore non avrebbe mai potuto avere una visione completa, né dell’insieme, né dei singoli lavori. Alla fine del percorso, pensato come spazio plastico, su di un piedistallo di Carlo Scarpa, pose Un millimetro: libro in acciaio del 1971, composto da dodici fogli-sculture dello spessore di un millimetro, che lo spettatore poteva avere in mano.

Intanto, chiusa la Biennale, in ottobre, in una fase di profonda crisi dell’ente veneziano, intervenne al Senato perché si approvasse un nuovo statuto.

Nel febbraio 1973, tra il palazzo dei Normanni e la Galleria civica d’arte moderna di Palermo, si tenne la prima grande mostra antologica dedicata al suo lavoro, con presentazione di Carandente; nello stesso tempo, a Gibellina fu allestita Città frontale. Tra gli ultimi lavori presentò le Pietre matte di San Vito: tredici sculture realizzate con altrettante pietre di San Vito lo Capo, che segnavano una svolta nel suo percorso, ovvero l’uso del marmo. A giugno, con introduzione di Umberto Eco, uscì il libro Fotografare l’arte: un dialogo sulle relazioni tra arte e fotografia con l’amico di sempre Ugo Mulas, scomparso qualche mese prima e che aveva seguito e fotografato larga parte del suo lavoro. Sempre nel 1973, per l’editore Scheiwiller di Milano, uscì la raccolta di poesie Poema frontale.

Nel 1974, presso la galleria Marlborough di Roma, presentò le opere in marmo realizzate sino a quel momento e la serie dei Paracarri, elementi architettonici che avevano attirato la sua attenzione già al tempo della Città frontale e che aveva eletto come simboli di una architettura maschilista, giacché ispirati agli organi sessuali maschili. Ai Paracarri, nello stesso anno, dedicò anche un libro fotografico, in cui pubblicò gli esemplari italiani più significativi.

Il 1976 fu l’anno in cui ebbe inizio la serie degli Addossati: una variante delle precedenti bifrontali, in cui congiunse due elementi di forme e colori diversi.

Tra un susseguirsi di mostre personali e collettive, nell’estate 1977 si tenne a Verona, al Museo di Castelvecchio, una mostra organizzata da Carandente e dal direttore Licisco Magagnato; in un confronto serrato con le mura antiche, espose le grandi Muraglie, che esplodevano di colore per la varietà di pietre e marmi utilizzati. Nel novembre dello stesso anno si inaugurarono i cancelli a battenti diversificati che aveva realizzato per il cimitero di Gibellina.

Nell’estate del 1978 espose undici Ferri bifrontali tra i sassi di Matera; in quell’occasione, in difesa dei sassi, Consagra fondò il Fronte delle arti e scrisse una lettera aperta ai materani, dal raro senso civico, sulla salvaguardia della loro città.

Nel 1980 pubblicò per Feltrinelli l’autobiografia Vita mia, con la quale vinse il premio letterario Mondello.

Nel 1982 ritornò a esporre alla XL Biennale di Venezia, dove presentò un unico grande Addossato bianco e nero, costituito da due strutture in legno sovrapporte e traforate. Dinanzi a quest’opera fu presentata una performance di Musica frontale, composta con Nicola Bernardini, Maria Monti e Gianni Nebbiosi, nella quale gli strumenti a fiato e il canto si sovrapponevano a una partitura elettronica, creando un unico fronte sonoro. Nello stesso anno fu inaugurata la monumentale Porta del Belice in acciaio inox, alta 28 metri, terminata nel 1981, che si erge all’ingresso di Gibellina Nuova.

Nell’aprile 1983 l’Università di Palermo gli conferì la laurea honoris causa in pedagogia; la relazione fu tenuta da Arturo Carlo Quintavalle.

Nel 1984 Consagra vinse il Premio nazionale per la scultura dall’Accademia del Lincei. A quel tempo, significative furono le personali alla galleria Stendhal di Milano e alla galleria Il Millennio di Roma, dove espose il Progetto di facciata per il palazzo comunale di Mazara del Vallo, lavoro che gli consentì di ragionare sulla possibilità di coprire, invece di abbattere, gli ecomostri. L’anno successivo pubblicò per Scheiwiller la raccolta di poesie Ci pensi amo, in cui propose un linguaggio affine ai principi della frontalità, da lui adottata in ogni accezione dell’arte e della vita. Durante il 1986 portò a termine La materia poteva non esserci, gigantesco addossato di diciotto metri di altezza, in cemento armato, commissionato da Antonio Presti per il suggestivo paesaggio di Fiumara d’Arte (Messina). Dopo qualche tempo, nel 1987, dette alle stampe, ancora per Scheiwiller, L’Italia non finita, un reportage sui monumenti non terminati, disseminati sul territorio italiano. Nello stesso 1987 Argan e Antonia Mulas realizzarono per Rai Tre il documentario Pietro Consagra, un classico dell’arte; anche Achille Bonito Oliva gli dedicò un ulteriore documentario nella serie Artisti allo specchio di Rai Due.

Nel 1988 lavorò alle scenografie dell’Oedipus Rex, che si tenne nel luglio tra le macerie di Gibellina, per la regia di Mario Martone. In quell’occasione sperimentò la costruzione di una città immaginaria, Tebe (oggi in parte collocata nella piazza di Gibellina Nuova), realizzata in legno e ferro dipinto di bianco. Nel maggio 1989 le opere in ferro furono esposte a Roma in occasione di una grande retrospettiva alla Galleria nazionale d’arte moderna. In quello stesso anno, per iniziativa di Scheiwiller, fu pubblicata la raccolta Consagra che scrive. Scritti teorici e polemici  1947/89.

GLI ULTIMI ANNI

Il 1990 fu l’anno di un imponente progetto: le dodici Porte del Cremlino, di cui la numero 10, di sei metri per otto, in marmo rosso di Verona e Botticino, si presentò come ulteriore esempio di scultura bifrontale da attraversare. Dedicate alle vicende della Russia e alla liberazione dal comunismo reale, tali lavori furono esposti all’Ermitage di San Pietroburgo nel 1991, in una mostra a cura di Gabriella Di Milia, slavista e storica dell’arte, che gli fu accanto dalla metà degli anni Ottanta e che sposò.

Il 6 dicembre 1993 alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma si inaugurò una sala permanente a lui dedicata, con trentadue opere donate nel 1988. Nello stesso anno pubblicò il libro Architetti mai più, nel quale denunciò i danni provocati da una architettura priva di valori estetici ed etici.

Tra il 1995 e il 1996 una serie di mostre misero in rilievo alcuni aspetti significativi del suo lungo percorso artistico, che, quasi allo scadere di ogni decennio, volse sempre a nuovi progetti, pur sempre coerenti. In particolare: con l’esposizione Diario frontale, alla galleria Fonte d’Abisso di Milano nella primavera 1995, si sottolineò il senso della frontalità nella continua diversificazione della sua opera; con la mostra Consagra per Pesaro, a cura di Enrico Crispolti, tenuta tra il dicembre 1995 e il febbraio 1996, si mise in evidenza la smaterializzazione della sua scultura; con la personale Consagra. Scultura e architettura, allestita nella primavera del 1996 nella sala Napoleonica all’Accademia di Brera, si esplorò il rapporto tra scultura e architettura. Per quest’ultima occasione Consagra presentò i nuovi Edifici e Facciate per Ghibli Città frontale, dedicata alla moglie Gabriella. All’ingresso del palazzo di Brera installò poi la Porta di Giano, ulteriore esempio di scultura da attraversare.

In quegli stessi anni alcune sue grandi sculture furono sistemate nelle strade d’Italia. Tra tutte: nel 1996, furono disposte a Milano, tra via dei Mercanti e piazza Duomo, due bifrontali in marmo del 1977, Nembro rosato e Giallo Mori, già collocate in piazza S. Babila; nel 1997, a Roma, in largo S. Susanna, si collocò la bifrontale Giano nel cuore di Roma; nel 1998, nel parco di palazzo d’Orléans a Palermo, si pose Controluce euforico, una sottilissima di tre metri.

Nel 2001 il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli conferì la Medaglia d'oro ai benemeriti della cultura e dell'arte.

Nonostante l’età avanzasse, fino ai primi anni Duemila, lavorò assiduamente a importanti progetti espositivi. Tra questi: nel 1997, presso l’Institute Mathildenhöhe di Darmstadt, presentò due piani della Facciata grigia scura dodici finestre del progetto Ghibli Città frontale; nel 2000, la Galerie der Stadt di Stoccarda gli dedicò una sala personale e la Galleria comunale d’arte contemporanea di Roma presentò la Bifrontale del Duemila, opera di cinque metri di lunghezza, ingrandita nel 2003 per il Parlamento Europeo di Strasburgo; nel 2001, come omaggio da parte della Biennale internazionale del Cairo, gli fu dedicata la mostra Pietro Consagra. Opere 1947-2000; nel 2004, presso la galleria Fonte d’Abisso di Milano, si tenneColloquio con la vita. Qualche tempo dopo, mentre continuava a elaborare nuovi progetti, Consagra morì a Milano il 16 luglio 2005.

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